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Le arachidi, un “infestante” da rivalutare. Oggi c’è la filiera che parla italiano

Il comparto della frutta secca si fa sempre più italiano, oltre che salutista. Accanto al boom corilicolo, negli ultimi anni si è diffusa rapidamente anche la nocicoltura da frutto nelle zone vocate, tra Piemonte, Campania, Lazio, Sicilia, Emilia-Romagna e Veneto; mandorle e pistacchi sono invece tipici del Sud Italia, mentre i pinoli vengono raccolti principalmente lungo le coste e in montagna.

Ma la letteratura italiana delle arachidi ha già avuto autori in patria?

Sebbene vengano solitamente chiamate noci, le arachidi appartengono
alla famiglia delle leguminose: una noce che in realtà è un fagiolo, potremmo dire, tenendo altresì conto del suo strettissimo rapporto con la terra per via della produzione di frutti interrati, come i tartufi, da cui derivano proprio le arachidi in guscio.

Parlare di “arachidicoltura” in Italia, oggi, vuol dire cogliere lo sguardo rivolto al futuro della famiglia campana Auriemma, titolare de “La Cenerentola” di Somma Vesuviana (Na), una delle maggiori realtà industriali dedita alla produzione e commercializzazione di frutta secca che circa tre anni fa ha scelto di dar agli agricoltori della propria regione, e non solo, un’alternativa colturale a pomodoro e granoturco, riscoprendo una tradizione degli anni Sessanta.

È partita quasi con un sottofondo patriottico la scalata dei giovani fratelli Giovanni e Francesco, che rappresentano la seconda generazione dell’impresa, nonché i promotori della prima filiera italiana organizzata delle arachidi.

Per fare l’albero, ci vuole il seme: è proprio da questo sillogismo senza tempo di Gianni Rodari che parte la “mission impossible” degli Auriemma, impegnati in un lungo peregrinare intorno al mondo alla ricerca di un seme certificato.

E in questo l’Italia non poteva dare risposte, trattandosi di una coltura praticamente nuova.

Pur trattandosi di una pianta di origine tropicale, l’arachide può vegetare nei climi caldi e asciutti italiani, a contatto di terreni sciolti, eccezion fatta per le zone di collina medioalta e di montagna.

Quella dell’arachide, poi, è una coltura di facile attuazione, che può dare buone produzioni anche senza concimazioni e interventi antiparassitari, oltre a una necessità idrica nella norma; come le altre leguminose, è poi in grado di migliorare la fertilità del terreno.

Giuseppe Auriemma ha fondato La
Cenerentola nel 1990 a Somma
Vesuviana (Napoli). Nella foto anche i
figli Giovanni e Francesco Auriemma.
Inizialmente l’azienda, a carattere familiare,
si occupava esclusivamente dell’essicazione
delle noci, della frutta secca e
della loro commercializzazione. Oggi è
una delle maggiori realtà campane del settore,
con un ampio portafoglio prodotti.

Se i primi test dimostrativi sviluppati con sementi cinesi e israeliane a fianco del Dipartimento di Agraria dell’Università “Federico II” di Reggia di Portici avevano dato esito positivo, la vera “caccia al seme” ha trovato lieto fine in America, grazie alla collaborazione di un’azienda texana che ha consentito l’acquisizione di seminativi sottoposti a un costante processo di miglioramento e ha garantito un supporto continuo di knowhow grazie all’assistenza tecnica sui processi e sulla meccanizzazione agricola.

“Scoperta l’America”, e recuperati i primi 80 quintali di semi, per i fratelli Auriemma è stata la volta di regionalizzare il test di produzione suddividendo i primi quarantasei ettari tra Campania (22 ha), Puglia (17 ha) e Veneto (5 ha), consorziando le tre aziende produttrici nella “Italiana Arachidi”; di acquisire un digger per la raccolta e un combine (una mietitrebbiatrice per arachidi) e di attrezzare in Puglia uno stabilimento a ingegneria industriale per gestire la prima selezione del raccolto l’essiccazione e la ventilazione del prodotto, che per il consumatore risulterà più scuro di quello egiziano, ma con un sapore più intenso e marcato.

Tre anni fa siamo partiti con le arachidi Valencia e le Virginia – spiega Giovanni Auriemma – oggi siamo riusciti a recuperare e duplicare il nostro seme autoctono per migliorarlo, mettendo a segno otto nuove sperimentazioni varietali che andremo a valutare sotto il profilo della resa della qualità, della dimensione, della resistenza alle malattie, della facilità di sgusciatura, delle proprietà chimiche dell’olio e delle caratteristiche di sapore e trasformazione, attivando progetti di filiera che mirano ottenere un’elevata specializzazione in grado di reggere al meglio l’obiettivo dei 350 ettari entro il 2023.

Già il 2019 avrà tanta carne al fuoco: il decollo di un nuovo areale produttivo tra le province di Forlì e Ferrara, il potenziamento del parco macchine per la raccolta e la nuova linea del prodotto sgusciato, con il raggiungimento dei 75 ettari coltivati per un potenziale di mille quintali di prodotto in guscio e 300 di sgusciato. Ma il giorno più emozionante resta il 18 dicembre 2018 – conclude – data storica della prima consegna delle nostre “Arachidì” (foto confezione) a Coop, l’insegna italiana che ci ha sostenuto e incoraggiati fin dai nostri primi passi. Insieme a loro stiamo provando a immaginare una fornitura per 12 mesi grazie alla rotazione delle diverse regioni produttive italiane”.

Tratto da un’intervista: FRUITBOOKMAGAZINE – Renata Cantamessa

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